Il consulente del lavoro rientra tra le libere professioni prevalentemente intellettuali.
E, in qualità di prestatore d’opera (artt. 2222 e 2230 cod. civ.), deve generalmente adempiere l’obbligazione contrattuale con la diligenza del buon padre di famiglia (di cui all’art. 1176, co. 2, cod. civ.), da valutarsi con particolare riferimento alla natura dell’attività esercitata ed al grado di preparazione professionale che questi deve mediamente possedere (c.d. “diligenza determinativa”).
Secondo la giurisprudenza consolidata, la responsabilità del professionista intellettuale riguarda i soli errori tecnici, dovuti cioè a mancanza di cognizioni tecniche e/o di esperienza personale.
La responsabilità del professionista intellettuale è, però, espressamente mitigata in caso di soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà (art. 2236, co. 1, cod. civ.), tra i quali sono ricomprese le interpretazioni di leggi o la risoluzione di questioni opinabili.
In tali eventualità, infatti, il Legislatore prevede una attenuazione della normale responsabilità, nel senso che il professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave cagionato con l’esecuzione della prestazione contrattuale.
In questa linea, si pone la Cassazione (20 ottobre 2011, n. 21700), secondo cui “in applicazione dei principi dettati dall’art. 2236 e 1176, comma 2, cod. civ., il consulente del lavoro deve considerarsi responsabile verso il cliente in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge e in genere nei casi in cui possa ravvisarsi negligenza o imperizia, mentre nei casi di interpretazioni di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la responsabilità del professionista medesimo a meno di dolo o colpa grave”.
Nel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, il consulente del lavoro aveva ritenuto che, per i dipendenti di un notaio assunti con contratti di formazione e lavoro, i contributi previdenziali datoriali si determinassero in maniera ridotta e fissa, al pari degli apprendisti.
In un momento successivo, data l’inapplicabilità agli studi professionali – dunque, anche a quelli notarili – di tali agevolazioni (art. 8, L. 29 dicembre 1990, n. 407), l’INPS aveva ravvisato e sanzionato l’irregolarità.
Nella fattispecie, i giudici hanno escluso la responsabilità del consulente ritenendo che la scelta del professionista non poteva dirsi abnorme, in quanto frutto di una interpretazione del tutto legittima del confuso quadro normativo.